La sindrome ADHD… “terremoti” da fermare o bambini da comprendere?

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (DDAI o ADHD- Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è l’etichetta diagnostica che indica uno specifico disturbo dello sviluppo che implica difficoltà di controllo dell’attenzione, impulsività ed iperattività.

Si distinguono quindi tre sottotipi:

  • Prevalentemente disattento
  • Iperattivo-impulsivo
  • Tipo combinato

DISATTENZIONE

Secondo Barkley (1998) i bambini con ADHD incontrano particolari difficoltà in compiti in cui è richiesta l’autoregolazione dell’attenzione sostenuta, in cui cioè, non c’è un contesto rinforzante che guida il bambino per il raggiungimento dell’obiettivo. Da qui ne deriva che il problema dell’attenzione non è più primario ma bensì secondario ad una scarsa capacità di controllo delle interferenze che permette a eventi interni o esterni di distrarre il bambino dal conseguimento dell’obiettivo.

IMPULSIVITÀ

É definita come l’incapacità di inibire i comportamenti e una difficoltà nel dilazionare la gratificazione.

Spesso i bambini impulsivi tendono a mostrare comportamenti come agire senza riflettere, non rispettano i turni conversazionali o nelle attività di gioco. Anche le emozioni vengono manifestate in modo immediato, irruento e senza essere filtrate.

Ne consegue che spesso, questi bambini, vengono giudicati insensibili e da “tenere a distanza”.

Un ulteriore conseguenza dell’impulsività è la non capacità di pensare alle conseguenze delle proprie azioni. Sembra che questi bambini non siano in grado di applicare le loro conoscenze per il raggiungimento di un obiettivo che invece hanno ben noto e presente.

IPERATTIVITÀ

Si manifesta con un eccesso di irrequietezza motoria e movimenti inappropriati rispetto alla situazione in cui si trovano. I bambini iperattivi, per esempio, muovono mani e gambe o continuano a giocherellare con gli oggetti presenti sul tavolo. Questi movimenti non sono inerenti al compito che il bambino deve sostenere e quindi finiscono per interferire nello svolgimento delle normali attività.

Ma quanti sono i bambini con ADHD? È stato stimato che nella popolazione in età scolare la percentuale varia dal 3 al 7%, quindi indicativamente quasi un bambino per classe può soffrire di questa sindrome.

Principalmente riguarda i maschi con un rapporto 3:1.

Quali sono le “cause”? Ad oggi le conoscenze sull’ADHD sono molto vaste anche se non si è in grado di dare una spiegazione univoca al fenomeno.

Si tratta di una sindrome multidimensionale e complessa e per questo ci sono molti fattori che concorrono alla manifestazione del disturbo.

Ci sono infatti:

  • Fattori fisiologici (fattori neuroanatomici, genetici e funzionali)
  • Fattori ambientali (sistema educativo familiare, condizione socio-economica ecc.)
  • Fattori organici (coinvolgimento di alcune specifiche aree cerebrali)
  • Familiarità
  • Aspetti non genetici (come per esempio lo stress fetale)

Un bambino ADHD sarà anche un adulto ADHD? Si. Stiamo infatti parlando di un disturbo evolutivo che persiste nell’età adulta.

Gli adulti con ADHD possono manifestare:

  • Difficoltà di organizzazione nel lavoro (strategie per il disturbo attentivo)
  • Intolleranza di vita sedentaria
  • Condotte rischiose
  • Rischio di marginalità sociale
  • Bassa autostima, tendenza all’isolamento sociale, vulnerabilità psicopatologica

Qual’è il tipo di trattamento più efficace?

Il trattamento deve essere multifocale, ossia coinvolgere:

  • La famiglia
  • Il bambino e/o l’adolescente
  • La scuola

In secondo luogo l’intervento deve accompagnare il bambino e il ragazzo durante la sua crescita e quindi adattarsi alle esigenze dello stadio evolutivo in cui si trova.

Lo scopo principale del trattamento con il bambino e/o ragazzo con ADHD è quello di renderlo in primo luogo consapevole delle proprie difficoltà e di aiutarlo nell’acquisizione di una maggiore autoregolazione attraverso l’uso di tecniche comportamentali e cognitive.

LA SCUOLA

Gli insegnanti possono intervenire aiutando in vari modi il bambino/adolescente a prevedere le conseguenze di determinati eventi prima di agire: in tal modo verranno incrementati i comportamenti adeguati a certe situazioni.

Utile è l’osservazione del comportamento del bambino/ragazzo e dei compagni per rilevare le tipologie e la frequenza dei momenti critici, gli antecedenti e le conseguenze al fine di intervenire coerentemente con le osservazioni.

È necessario gratificare i momenti positivi e fare attenzione alle difficoltà di apprendimento.

Di fondamentale importanza risulta poi la collaborazione con la famiglia e i servizi.

LA FAMIGLIA

L’ intervento è quello basato sul parent training, un modello caratterizzato dal coinvolgimento dei genitori, offrendo un aiuto specialistico finalizzato a cambiare il modo di interagire con i figli e promuovere lo sviluppo di comportamenti positivi.

IL BAMBINO E L’ADOLESCENTE

Con il bambino/adolescente si mettono in pratica training cognitivo-comportamentali che hanno l’obiettivo di insegnare l’autoregolazione. In questo modo si modificano i comportamenti “problema” attraverso un lavoro di riflessione metacognitiva.

È fondamentale che questi tre sistemi siano parte integrante del percorso di trattamento, in quanto un lavoro svolto solo con il bambino o il ragazzo, senza la modificazione dell’ambiente familiare e scolastico, non porterebbe ad alcun risultato se non alla maggiore frustrazione del soggetto in questione e degli adulti significativi intorno a lui, genitori o insegnanti che siano.